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Adeguatezza dialitica e follow-up della membrana peritoneale

Il follow-up della membrana peritoneale

presentazione

Figura 1 di 37.

  Signori Moderatori, Cari Colleghi. Per me è un vero privilegio potere parlare al back to basic e la mia è stata una scelta precisa di privilegiare queste sessioni proprio per l’impatto che possono avere sui Colleghi specializzandi ma anche sui Colleghi che hanno necessità di rivedere alcune parti della loro pratica clinica. Il mio argomento è il follow-up della membrana peritoneale.



Figura 2 di 37.

Il desiderio di tutti noi, che ci occupiamo di dialisi peritoneale, è quello di preservare la membrana peritoneale il più a lungo possibile con le sue caratteristiche inalterate cioè lasciare inalterato il peritoneo anche dopo alcuni anni di utilizzo della cavità peritoneale come organo dialitico, come è avvenuto in questo case-report (Shimizu H et al Perit Dial Int 2007 [1] (full text)) in cui utilizzando una soluzione a basso contenuto di GDP le biopsie, effettuate all’inserimento e alla rimozione del catetere, dopo 4 anni di trattamento, mettono in evidenza una membrana inalterata.



Figura 3 di 37.

In realtà quello che avviene è che vi sono delle alterazioni istologiche della membrana peritoneale nel tempo: in A vi è il peritoneo normale e in C e D le alterazioni progressive nel tempo (Williams JD et al Kidney Int 2004 [2]) .



Figura 4 di 37.

E l’andamento funzionale della membrana peritoneale è di questo tipo (Davies SJ Kidney Int 2004 [3]) : si ha un incremento della permeabilità della membrana peritoneale ai piccoli soluti ed una riduzione della capacità di ultrafiltrazione peritoneale.



Figura 5 di 37.

La possibilità di effettuare un follow-up della membrana peritoneale è di estrema importanza per la sopravvivenza della metodica dialitica e, a volte, anche per la sopravvivenza dei pazienti. Mentre è molto difficile effettuare delle biopsie peritoneali seriate, per valutare il danno anatomico, è molto più facile effettuare dei test che valutano la capacità funzionale della membrana peritoneale



Figura 6 di 37.

Il test più utilizzato per la valutazione funzionale della membrana peritoneale è il test di equilibrazione peritoneale o PET ideato, nella su formula classica, da Twardowski (Twardowski ZJ, et al. Peritoneal equilibration test. Perit Dial Bull 1987; 7:138-47 [4])



Figura 7 di 37.

Il test di equilibrazione peritoneale si basa sul principio che i soluti, che possono diffondere dal sangue al liquido di dialisi peritoneale, hanno differenti velocità di diffusione in base al loro peso molecolare, carica, etc. Quindi dopo un certo periodo di tempo, ad esempio 4 ore, avremo dei rapporti di concentrazione fra dialisato e plasma differenti in base alle caratteristiche del soluto, cioè il D/P di un soluto potrà essere 0.90 (che significa che nel periodo di tempo esaminato la concentrazione del soluto nel dialisato è pari al 90% di quella del plasma) oppure 0.35 (cioè la concentrazione nel dialisato è pari al 35% di quella del plasma e così via).



Figura 8 di 37.

Il merito di Twardowski (Twardowski ZJ, et al Blood Purif 1988 [5]) è stato quello di avere intuito che la velocità di trasporto dei soluti, in particolar modo dei piccoli soluti come la creatinina ed il glucosio, variava anche fra i vari pazienti. Sfruttando tale caratteristica Twardowski è riuscito a classificare i pazienti in varie classi di trasportatori: alti, medio-alti, medio-bassi e bassi-trasportatori (oggi si preferisce utilizzare il termine rapidi o lenti trasportatori al posto di alti o bassi trasportatori)



Figura 9 di 37.

Questi sono i valori di D/P della creatinina ricavate da alcuni studi in varie parti del mondo (La Milia V. Test di equilibrazione peritoneale: attualità e prospettive future. GIN 2007; 6: 510-525 [6]). Come potete vedere i valori di D/P che attirano l’attenzione sono i valori prossimi a 0.80, al di sopra dei quali abbiamo i pazienti rapidi trasportatori, e i valori prossimi a 0.55-0.60, al di sotto dei quali abbiamo i lenti trasportatori. Queste due categorie di trasportatori (rapidi e lenti) sono quelli che possono avere dei problemi (come vedremo in seguito).



Figura 10 di 37.

Abbiamo a disposizione molti altri test basati sui principi del PET che servono ad evidenziare alcune caratteristiche particolari della membrana peritoneale rispetto al test tradizionale di Twardowski.



Figura 11 di 37.

Tra questi test derivati il più importante è forse il PET modificato in cui si utilizza la soluzione al 3.86% di glucosio al posto della tradizionale soluzione al 2.27%. L’utilizzo di questa soluzione permette di ottenere maggiori informazioni sulla UF peritoneale per il maggiore gradiente osmotico; inoltre l’analisi della concentrazione del sodio nel dialisato, dopo 60 minuti, permette di ottenere informazioni su un tipo particolare di ultrafiltrazione peritoneale cioè il trasporto di acqua libera. Il 3.86%-PET dovrebbe essere il test da effettuare come indicato anche dalla Società Internazionale di Dialisi Peritoneale (ISPD Ad Hoc Committee on Ultrafiltration Management in Peritoneal Dialysis Perit Dial Int 2000 [7] (full text)).



Figura 12 di 37.

Come potete vedere con la soluzione al 3.86% di glucosio, durante la prima parte di una sosta peritoneale, si ha una riduzione marcata della concentrazione di sodio nel dialisato (qui espressa come D/P) (Wang T et al Kidney Int 1997 [8])



Figura 13 di 37.

Tale deflessione della concentrazione di sodio nel dialisato è ridotta o assente nei pazienti con deficit della capacità di ultrafiltrazione (Heimbürger O et al Nephrol Dial Transplant 1994 [9]) in quanto viene meno la componente di trasporto dell’acqua libera.



Figura 14 di 37.

La riduzione della deflessione della concentrazione (o delta sodio) è l’unico parametro che si riduce costantemente negli anni e quindi potrebbe essere un ottimo indicatore di invecchiamento della membrana (La Milia V et al Kidney Int 2006 [10]) .



Figura 15 di 37.

Un delta del sodio, a 60 minuti del 3.86%-PET, superiore a 10 mmol/L (cioè una riduzione della concentrazione di sodio nel dialisato) indica un ottimo funzionamento della membrana peritoneale, un delta del sodio compreso fra 5 e 10 mmol/L indica una buona funzionalità della membrana peritoneale mentre un delta del sodio inferiore a 5 mmol/L potrebbe essere indicativo di riduzione della funzionalità della membrana peritoneale (La Milia V et al Kidney Int 2006 [10]).



Figura 16 di 37.

Un altro test, derivato dal PET classico, è il Mini-PET (La Milia et al. Kidney Int 2005 [11]) della durata di 1 ora che permette di quantificare il trasporto di acqua libera.



Figura 17 di 37.

Con il Mini-PET è stato possibile, per la prima volta, misurare il trasporto di acqua libera, che è circa il 50% dell’ultrafiltrazione totale nella prima parte di uno scambio peritoneale con soluzione al 3.86% di glucosio (La Milia et al. Kidney Int 2005 [11]).



Figura 18 di 37.

Il trasporto di acqua libera, misurato con il Mini-PET, si correla con la presenza dei canali di acquaporina-1 sulla membrana peritoneale (Schoenicke G et al Am J Kidney Dis 2004 [12]).



Figura 19 di 37.

E il trasporto di acqua libera è fortemente ridotto nei pazienti con deficit di ultrafiltrazione peritoneale (UFF) (Smit W et al Kidney Int 2004 [13])



Figura 20 di 37.

Per ottenere moltissime informazioni è possibile integrare il 3.86%-PET con altri test, come il Doppio Mini-PET (La Milia V J Nephrol 2010; 23:633-647 [14] (full text)).



Figura 21 di 37.

Vi sono anche altri test non basati sui principi del PET (ma questi non verranno trattati qui)



Figura 22 di 37.

Ogni test ha dei vantaggi e dei svantaggi (Coester AM et al NDT Plus 2009 [15])



Figura 23 di 37.

A questo punto è necessario capire se il follow-up funzionale della membrana peritoneale è utile nella pratica clinica. La risposta è certamente si in quanto I dati del PET forniscono informazioni per la prescrizione della dialisi peritoneale, il trasporto peritoneale non è statico ma varia nel tempo e quindi può essere necessario ricalibrare la terapia e, infine, I dati del PET sono importanti per la diagnosi e la prognosi dei pazienti in dialisi peritoneale.



Figura 24 di 37.

Già Twardowski (Twardowski ZJ, et al ASAIO Trans 1990 [16]) utilizzava i dati del PET per la prescrizione del tipo di dialisi peritoneale



Figura 25 di 37.

Ed inoltre permettevano di fare diagnosi di alcune complicanze quali la riduzione della capacità di ultrafiltrazione (Twardowski ZJ, et al ASAIO Trans 1990 [16])



Figura 26 di 37.

Semplificando al massimo possiamo dire che i rapidi trasportatori dovrebbero fare la dialisi peritoneale automatizzata (APD) e i lenti trasportatori la CAPD ad alti volumi (e se non sufficiente passare all’emodialisi)



Figura 27 di 37.

Questo è lo schema di un algoritmo (Coester AM et al NDT Plus 2009 [15]) per il follow-up dei pazienti in dialisi peritoneale dove è compreso, naturalmente, anche il follow-up della membrana peritoneale con i test di funzionalità della membrana peritoneale



Figura 28 di 37.

Abbiamo visto come le caratteristiche funzionali della membrana peritoneale si modificano nel tempo (Davies SJ Kidney Int 2004 [3])



Figura 29 di 37.

E con i dati ricavabili dal 3.86%-PET si può ad esempio mettere in evidenza che dopo 5 anni in dialisi peritoneale circa il 50% dei pazienti hanno un deficit di ultrafiltrazione (La Milia V, et al. Kidney Int 2006; 69: 927-33 [10]) ed è quindi necessario utilizzare altre strategie dialitiche (ad esempio utilizzando l’icodestrina)



Figura 30 di 37.

Inoltre i dati del PET sono prognostici. Da questa metanalisi (Brimble KS et al JASN 2006; 17:2591-8 [17] (full text)



Figura 31 di 37.

Tuttavia tale maggiore mortalità si ha quando i pazienti rapidi trasportatori vengono trattati con la CAPD mentre non avviene se vengono trattati con l’APD; l’inverso avviene per i pazienti lenti trasportatori (cioè la loro mortalità è maggiore in APD rispetto alla CAPD) (Johnson DW, et al. Nephrol Dial Transplant 2010 [18]).



Figura 32 di 37.

Un grande problema emergente è una complicanza temibile della dialisi peritoneale cioè la sclerosi peritoneale incapsulante (Brown EA et al PDI 2009 [19] (full text)).



Figura 33 di 37.

E’ vero che i parametri del PET classico non riescono a prevedere l’insorgenza dell’EPS (Brown EA et al PDI 2009 [19] (full text))



Figura 34 di 37.

Come si può vedere da questa diapositiva (Sampimon, DE, Krediet R et al, NDT 2011 [20])



Figura 35 di 37.

Tuttavia il trasporto di acqua libera, o più semplicemente la valutazione del delta del sodio nel tempo, potrebbero fornire importanti informazioni molti anni prima dell’insorgenza dell’EPS (Sampimon, DE, Krediet R et al, NDT 2011 [20])



Figura 36 di 37.

Questo è un algoritmo per il monitoraggio della funzione della membrana peritoneale ed evidenzia le informazioni che si possono ottenere con l’effettuazione periodica dei vari test. Naturalmente l’effettuazione di un test completo come l’Uni-PET fornirà maggiori informazioni.



Figura 37 di 37.



BibliografiaReferences

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release  1
pubblicata il  21 marzo 2012 
da Vincenzo La Milia
(Nefrologia e Dialisi - Ospedale A. Manzoni - Lecco)
Parole chiave: dialisi peritoneale, Na sieving, sclerosi peritoneale incapsulante, Sodio, test
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